L'articolo di Carbone nasce dopo il commento su facebook di Antonio Di Grado (direttore artistico della Fondazione Sciascia) all'articolo pubblicato sul settimanale SETTE del Corriere della Sera a firma di Felice Cavallaro.
Scrive Di Grado:
“Guarda un po', si parla della Fondazione e di chi la dirige e l'unico che non si cita è il direttore. Camarille strapaesane.”
(Piero Carbone)
Ma camarilla di chi? Camarilla di che? Verrebbe la curiosità di saperlo. Ridotta a camarilla strapaesana sarebbe la Fondazione Sciascia su cui stuoli di politiciscrittorigiornalistiprofessori hanno speso fiumi di inchiostro retorico? Ma allora qualche solitario bastian contrario aveva ragione a temerlo in tempi non sospetti! Altro che essere tacciato di tramare contro la Fondazione!! Comunque, è da scongiurare per rispetto a tanti e a tante cose che queste siano le dinamiche che dovrebbero segnare il percorso di un nuovo cammino di crescita civile e culturale di una comunità.
Oltreché un’occasione storica mancata, sarebbe una smentita delle intenzioni di chi, a livello redazionale o direttivo, nel nome di Sciascia, collegava e finalizzava il reportage a più nobili fini, come proclamato con tutta evidenza e senza equivoci sulla copertina del settimanale “Sette”, settimanale del “Corriere della Sera”: “Commissariato per mafia, il paese di Sciascia vuole diventare un modello per l’Italia”.
Dal conclamato “laboratorio” di Racalmuto-Regalpetra, da additare all’Italia intiera, alla percepita camarilla strapaesana ce ne corre: parola di sciasciani.
Ma Sciascia, e vale per sciasciani e non sciasciani, avrebbe voluto questo?
Non avrebbe voluto questo volare basso chi ha scritto in Nero su nero: “Quelli che appunto la pensano come me non la pensano come me”.
Certo, non è facile amministrare il patrimonio morale lasciatoci in eredità dal grande scrittore, per gli equivoci e gli abusi che potrebbe generare in chi ad esso si ispira.
Su una cosa almeno si dovrebbe convergere: come concittadini non vorremmo demeritare quella eredità al punto da dover dire, ignominiosamente, “malgrado Sciascia”.
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