

Mesi fa, anche un numero speciale del periodico culturale Malgrado tutto, pubblicazione legata alla lezione letteraria e civile del maestro di Racalmuto, ha ricordato Sciascia attraverso gli autorevoli interventi di autori del calibro di Andrea Camilleri, Gianrico Carofiglio, Gaetano Savatteri, Matteo Collura e tanti altri. In tal modo, si è voluto ricordare l’autore Sciascia, il quale, tra le innumerevoli “direzioni” date al proprio impegno culturale, in alcune sue opere magistrali come Il giorno della civetta o Le parrocchie di Regalpetra, ha indagato i meandri più oscuri dei rapporti tra criminalità mafiosa, potere politico ed ambienti borghesi.
Ma in questa sede, Leonardo Sciascia verrà anche ricordato per un episodio, ormai lontano nel tempo, che però tanta parte ebbe nei suoi due ultimi anni di vita. Era il 10 gennaio del 1987 quando, sulle autorevoli pagine del Corriere della Sera, apparve uno degli articoli forse più controversi che mai siano stati pubblicati, letti e successivamente commentati in Italia (un caso molto simile probabilmente si è avuto nel 2001 a seguito della pubblicazione, sempre sulle pagine del Corriere, de La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci). S’intitolava I professionisti dell’antimafia, e con esso l’autore “professò” una personale ma autorevole tesi, in base alla quale riferiva che in Sicilia, sia in certi ambienti della politica che in alcuni della magistratura, stava insinuandosi un discutibile e pericoloso atteggiamento di “carrierismo”, con tutte le sue connesse attività di relazioni pubbliche ed esposizioni mediatiche, che sfruttava apertamente ed in maniera inopportuna l’impegno nell’antimafia. In quelle righe Sciascia denunciava, non senza ragione, un indebito uso dell’antimafia come strumento di potere, finalizzato a poter perseguire particolari scopi personali e professionali più rapidamente di altri. In tutto ciò non sembrerebbe esserci niente di strano, anzi, si potrebbe essere indotti a pensare che sia stato un “gesto” che dal maestro di Racalmuto ci si poteva (e doveva) aspettare. Ma l’anomalia consisteva in uno dei bersagli che le critiche, le lucidi argomentazioni riportate ed i ragionamenti, tanto chiari da apparire ovvi, vollero colpire: Paolo Borsellino. Un uomo che, in quella prima formidabile stagione di lotta e contrasto allo strapotere della criminalità mafiosa, stava giocando, insieme ad altri, un ruolo fondamentale nello scacchiere giudiziario di una Palermo che in mano ai corleonesi per anni fu un vero e proprio fronte bellico. Tuttavia, mettendo da parte le antiche polemiche che allora suscitò, superate grazie ad un incontro chiarificatore che lo stesso Sciascia ebbe direttamente con Borsellino, anche dopo tanti anni, lo scritto appare però essere il frutto del lucido lavoro giornalistico di una mente fine ed acuta, com’era quella dell’autore racalmutese, il quale, negli anni precedenti ed in maniera progressiva, aveva contribuito a rendere sempre più viva e forte la consapevolezza che il pericolo mafioso stesse cominciando ad incombere sulla società italiana. Appare chiaro, dunque, che l’episodio sia qui riportato esclusivamente in un’ottica cronicistica come utile strumento d’analisi per meglio tentare di comprendere l’atmosfera che in quei difficili anni si respirava. Queste righe, non volendo opportunamente entrare nel merito della questione, non rappresentano certamente un giudizio sulla posizione che assunse Leonardo Sciascia, il quale ragionò e scrisse su quei fatti in assoluta buona fede e con il solito rigore morale e la proverbiale passione civile che lo contraddistinguevano. Rappresentano, al contrario, un doveroso omaggio all’intellettuale, al critico ed allo scrittore che ha fatto conoscere, con scritti a volte complessi e controversi ma mai banali o assecondanti, la pericolosità del fenomeno mafioso all’imborghesita, ed a volte distratta e sonnolenta, società italiana. Inoltre, l’importanza e l’unicità dell’intellettuale racalmutese nel panorama letterario italiano sono ulteriormente dimostrate dall’ultima “riverenza” apparsa qualche settimana fa in libreria: il saggio Un onorevole siciliano di Andrea Camilleri, nel quale lo scrittore empedoclino, che fu molto amico dello stesso Sciascia, rende una tangibile testimonianza dell’impegno dell’amico racalmutese nella lotta contro la criminalità organizzata, nuovo tarlo che pericolosamente ed inesorabilmente si stava insinuando nei palazzi del potere, nella politica e nel nascente sistema economico italiano. Il libro traccia l’esperienza politica da parlamentare che Sciascia visse tra il 1979 ed il 1983 nelle file del partito radicale, attraverso la pubblicazione delle interrogazioni parlamentari che lo scrittore presentò. Militanza politica concepita sempre all’insegna della sua forma mentis intellettuale, ovvero quel suo metodo mai unicamente concettuale ma sempre basato ed ancorato a vicende ed episodi reali, analizzati senza particolari sofismi o comodi filtri intellettuali. Lo stesso Camilleri, infatti, testimonia quanto sia attuale l’opera di Sciascia, ovvero quanto argomenti come la mafia, la corruzione, la sicurezza dei cittadini o il controllo del petrolio costituiscano tuttora la cronaca di tutti i giorni, a tal punto che le interrogazioni presentate da Sciascia quasi trent’anni fa, potrebbero perfettamente ancora oggi essere utilizzate per realizzare un lucido ed acuto ragionamento sulla nostra Italia e sul suo più recente passato, del quale il “maestro di Regalpetra” individuò i mali, al fine di trasmettercene, profeticamente, una maggiore consapevolezza per meglio affrontare il nostro presente.
Antonio Fragapane
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