Un regalo di un amico che voglio condividere con tutti voi.
Grazie Carmelo per quello che fai ogni giorno per Racalmuto.
Con tanta stima, Sergio Scimè
A proposito del libro Cinque mesi di prefettura in Sicilia
di Carmelo Sciascia
Oggi mi è capitato di leggere un intervento sulle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. L’intervento verte e si basa sulla riproposizione di un documento: la relazione al Ministro degli Interni del prefetto di Girgenti, dell’allora prefetto Enrico Falconcini, datato 8 ottobre 1862.
Il libro era stato ritrovato nella biblioteca della Camera dei Deputati da Leonardo Sciascia negli anni 80, più precisamente il periodo in cui ha fatto parte della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia dal dicembre 1982 al luglio 1983. Il libro era stato pubblicato da Sellerio nel 2002, nella collana La memoria illustrata, nella prefazione Andrea Camillieri ironizzava sulla figura del Prefetto, uomo sbagliato al posto sbagliato nel momento sbagliato: un uomo, in fin dei conti, semplicemente jellato. Io, che quel rapporto avevo letto, sono andato a rivederlo, e vorrei aggiungere qualche nota in più, all’interpretazione del Vassallo Nino, autore dell’intervento citato, un articolo datato 5 settembre, fatto circolare in rete.
I fatti: nella provincia di Agrigento, vi sono delle manifestazioni, più o meno violente, in seguito alla notizia dell’arresto e del ferimento di Garibaldi ad Aspromonte ad opera dell’esercito regolare, comandato dal colonnello Pallavicini, avvenuto il 29 agosto dello stesso anno.
Più pacifica la manifestazione di Canicattì: una manifestazione con il busto di Garibaldi portato “ a passeggio attraverso la città” che “tenne per tre buoni giorni in agitazione il paese”. Il ferimento di “carabinieri” (non si fa menzione del numero e delle gravità delle ferite, sembra semplicemente un mero pretesto) fecero intervenire militarmente una compagnia di bersaglieri ed arrestare il padre ottuagenario del sindaco (l’episodio sembra ridicolo, ma non lo è, se si considera che è premessa per dimissionare l’intero consiglio e commissariare il comune).
Di ben altra consistenza i fatti di Racalmuto menzionati in vari rapporti ufficiali nei cento documenti che supportano e fanno parte integrante del libro “Cinque mesi di Prefettura in Sicilia per Enrico Falconcini”, già deputato al Parlamento Italiano, edito a Firenze nel 1863, che sostengono “la prova provata” del corretto agire del prefetto.
I documenti riportati sono stati scelti dallo Stesso e non vengono né allegati, né menzionati, documenti di altra fonte, ma solo quelli che sono stati compilati di proprio pugno o che convalidano comunque le sue scelte.
"Il 6 settembre il paese cadde in preda ad un terribile disordine”. Così inizia il rapporto del nostro Prefetto al Ministro degli Interni Urbano Rattazzi che, oltre a Ministro era anche il Presidente del Consiglio dei Ministri già dal 3 Marzo1862 e che resterà in carica fino all’8 dicembre dello stesso anno. Nei moti racalmutesi venivano nell’ordine: saccheggiata la caserma dei carabinieri, bruciati gli archivi del comune, aggredito e saccheggiato il corpo di guardia della milizia nazionale, saccheggiato il casino di compagnia, aperte le carceri ai detenuti, aggredita la vettura corriera, bruciati i dispacci. Come si può desumere da questa descrizione è un quadro di vera e propria rivolta popolare, una rivolta che ha l’appoggio di tutta la popolazione e non può essere attuata solo da una ”orda invaditrice”, (latitanti, malviventi e renitenti alla leva che di comune accordo, quasi militarmente attaccavano il paese e lo mettevano a ferro e fuoco) come vuol fare intendere il Falconcini. Come mai, così all’improvviso a Racalmuto, un piccolo paese, succedeva in quel preciso momento quel ‘48? La notizia dell’arresto dell’Eroe in Calabria avvenuta la settimana prima, sicuramente ne aveva acceso la miccia, ma l’accensione della miccia presuppone che ci sia stato, sia la miccia che il materiale esplosivo, ci dovevano essere dei motivi profondi, sentiti e diffusi, sicuramente molto di più della semplice notizia che giungeva dal Continente.
Garibaldi aveva rappresentato le aspirazioni di riscatto sociale e politico delle diseredate masse popolari siciliane, ma i fatti di Bronte, la cessione del Regno delle due Sicilie con l’Obbedisco di Teano a Vittorio Emanuele II, e la successiva colonizzazione sabauda ne avevano smorzato sicuramente l’impatto emotivo della prima ora.
Secondo il Falconcini a Racalmuto “si dette sfogo a quelle covate ire di famiglie alle quali sogliono le passioni politiche servire di comodo manto”.
Vi era a Racalmuto in quel periodo una famiglia che questi moti poteva fomentare, la famiglia Matrona che era di tendenza progressista, era per l’unità d’Italia, aveva una simpatia garibaldina.
E quindi può darsi che questa famiglia soffiasse sul fuoco della rivolta, come manifestazione di sostegno a tutta quella concezione politica che si accreditava, non sempre a ragione, al Generale.
Ma vi era un’altra famiglia che all’opposto era conservatrice, rimasta di simpatie borboniche: i Farrauto. Queste notizie le avevamo apprese già nel 1969, anno di pubblicazione del libro di Eugenio Napoleone Messana (personaggio che ho spesso citato nei miei interventi) “Racalmuto nella storia della Sicilia”, che di questi fatti narra.
Quindi Racalmuto come Verona: i Matrona ed i Farrauto come Capuleti e Montecchi. O, come la Firenze dei Donati e dei Bondelmonti, cui espressamente fa riferimento il Nostro.
La famiglia e la politica sono sempre stati elementi intrinseci della vita pubblica siciliana: l’eletto è tale se ha un grande gruppo familiare alle spalle e, la famiglia è importante se ha delle espressioni che si palesano in cariche pubbliche.
Questa l’interpretazione romantica del nostro Prefetto. Il quale si smentisce poco dopo, affermando: “Le campagne di quel comune erano piene di renitenti alla leva”. Ed allora? Fu causa di detta rivolta, la rivalità delle famiglie Matrona e Farrauto, l’attacco della “orda invaditrice” o dai renitenti alla leva? Il motivo vero è che questi fatti vennero a coagularsi a seguito di un episodio, la repressione d’Aspromonte, ma che erano frutto di un malcontento generale, diffuso nelle città e nelle campagne, di leggi calate dall’alto che danneggiavano tutti, in primis quelle sul servizio della leva obbligatoria, da una repressione ferrea: lo stato d’assedio perenne.
Queste ed altre mille le cause che unificarono i rivoltosi racalmutesi, cause che unirono i nostalgici borbonici (espressione della famiglia Farrauto) ed i rivoluzionari mazziniani e garibaldini (espressione della famiglia Matrona), i renitenti alla leva con il sottoproletariato delle campagne: i braccianti. Leggendo un altro testo “Colpo d’occhio”del 1862, avente come sottotitolo “su le condizioni del reame delle due sicilie” , si vede come diverse in tutto il meridione furono le rivolte come quella di Racalmuto, e di queste rivolte risulta essere una meticolosa cronaca.
Conseguenza di dette rivolte, spontanee e popolari, fu il cambio di governo, nel senso che a pagarne le conseguenze fu il Rattizzi, che dovette dimettersi l’8 dicembre, dopo appena 9 mesi e 5 giorni, per essere sostituito dal Farini, un uomo che dava già evidenti segni di squilibrio mentale. Strano il destino, a volte, Luigi Carlo Farini morirà tre anni dopo a Quarto, termina in povertà la propria vita dov’era iniziata, qualche anno prima, l’avventura dei Mille.
Ministro dell’interno troviamo allora il Peruzzi, Ubaldino Peruzzi de’ Medici, in carica fino al 24 marzo 1863, per tre mesi e 16 giorni, così quanto durò il governo Farini. Ed anche se a firma di S. Spaventa, è il Peruzzi Ministro che dimissiona l’11 gennaio 1863 il Cav. Enrico Falconcini prefetto di Girgenti .
In risposta all’onorevole cav. Prof. Boggio, deputato al Parlamento a Torino, è sempre l’Ubaldino Peruzzi a sottolineare che il sig. Falconcini è stato “dispensato, non destituito dalla carica di prefetto di Girgenti”. Una delle ultime affermazioni del prefetto nelle conclusioni recita: “Un ministro completamente adatto agli odierni bisogni del regno, forse non lo avemmo fin qui; ma spero , che verrà…” mai profezia è stata più mendace!
Nel dicembre 1863, a seguito dei fatti accennati e di quello che venne definito il brigantaggio nel meridione, la Camera nominò una commissione d’inchiesta, per capire le cause politiche e sociali, esaminare eventuali errori del governo e se fosse stata giustificata e corretta la repressione dell’esercito, visti gli innumerevoli massacri commessi dall’esercito regolare.
La relazione evidenziò le ragioni economiche quali la diffusa povertà, non si parlò mai di responsabilità del governo, le colpe erano degli agenti e dei nostalgici borbonici (quale la famiglia Farrauto, ma ad essere arrestati erano stati i Matrona, garibaldini), di parte del clero e soprattutto dei “briganti”. L’unità d’Italia si concludeva così con la promulgazione della Legge Pica.
Un sanguinoso Stato d’assedio che durò anni. Suona ironica la frase conclusiva del libretto citato: “Sappiano gli Agrigentini usare pienamente dei propj diritti, e l’opinione pubblica di tutt’Italia forzerà il governo a dare soddisfazione ai bisogni della bella e ricca loro provincia”
Agrigento è ancora oggi, dati de “il sole 24 ore”, l’ultima provincia del Regno, pardon della Repubblica.
Carmelo Sciascia, 27 settembre 2010
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