Il ragazzo che sussurra alle capre ora è un artista famoso. L’ultima opera lo ha reso celebre: è la sua statua del commissario Montalbano piazzata sul marciapiede di Porto Empedocle, inaugurata con tanto di fanfara alla presenza di Andrea Cammilleri. Potenza della letteratura: il ragazzo che sussurrava alle capre scolpiva da anni le sue opere, ma per aver dato corpo, faccia e figura a un personaggio immaginario lo ha proiettato immediatamente nel clamore de giornali e delle televisioni. Strano destino per un come Giuseppe Agnello che sempre sfugge ai riflettoti, detesta il palcoscenico e preferisce stare a un passo indietro.
Conosco Giuseppe Agnello da tempo immemorabile. È di Racalmuto, come me. Ho l’immagine di un ragazzo esile, dai tratti gentili, il tono di voce sommesso: figlio e nipote di pastori, pascolava le capre di famiglia. L’ho conosciuto assieme a suo nonno che tutti chiamano Trentanove, un soprannome che nella cabala siciliana significa chiacchierone: aveva un centinaio di capre di razza maltese, dalle corna orgogliose, il pelo lungo. Bestie di rara bellezza. Giuseppe andava in giro con suo nonno, il bastone di legno di mandorlo, il tascapane a tracolla, gli scarponi chiodati. Quando passavano dalle parti della mia campagna - l’ovile era poco distante, sul colle più alto del paese - passavamo lunghe ore assieme. Trentanove amava raccontare storia antiche, lo faceva col ritmo del narratore di professione. Con Giuseppe, che ha più o meno la mia età – adesso annovera quarantasei anni – restavamo ad ascoltare, seduti sotto un albero di noce, all’ombra: le capre, più di cento, pascolavano tranquille, di tanto in tanto richiamate da un fischio di Giuseppe o di suo nonno. Mi stupiva come facessero a riconoscerle una ad una, nome per nome: ‘Ngilina, Munachedda, Ninuzza, Stiduzza.
In quei lunghi pomeriggi estivi, capitava che Giuseppe tirasse fuori dal suo tascapane un quaderno e una matita: assorto, mentre suo nonno continua a raccontare, Giuseppe disegnava. Invidiavo la sua capacità di ritrarre con pochi tratti di matita la testa di una capra, il volto di suo nonno, il gesto di suo nonno, il gesto di una mano, una pietra, un troco di ulivo. Credo che sia nato in quei lunghi pomeriggi silenziosi, in mezzo la natura, l’estro di Giuseppe Agnello. Guardandolo, mi tornava sempre in mente la copertina di un album da disegno, al quale affidavo i miei poveri sgorbi, raffigurava un giovanissimo Giotto che disegnava con precisione su una pietra il profilo di una pecora, sotto gli occhi stupiti di Cimabue.
Non eravamo nella Firenze del 1200, ma nella Racalmuto del secolo scorso. Insomma, per il ragazzo che sussurrava alle capre la strada era tutta in salita. Ma Giuseppe Agnello, dietro al suo profilo mite, ha una volontà di ferro. Si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Palermo, dove incontra il professor Giuseppe Rizzuti, anche lui con origini che affondano nella terra agrigentina: ne viene influenzato, indirizzandosi verso la scultura. Conclusi gli studi comincia la sua perenne peregrinazione tra Racalmuto e il resto del mondo. Lunghi periodi a Milano, poi Carrara, dove insegna per sette anni e conosce sua moglie Katarina, svizzera di Basilea. Una permanenza in Svizzera, la nascita di due figli, mentre Giuseppe Agnello continua ad andare e venire dalla Sicilia, vittima di quel destino per cui diventa impossibile liberarsi della propria terra: né con te, né senza di te.
Infine, la scelta di insegnare a Palermo, in Accademia. E di prendere domicilio nella campagna di Racalmuto. Qui, Giuseppe Agnello torna al suo vecchio amore: scolpisce teste di capre e di pecore, tante da farne un gregge, un’opera d’arte che ricorda il suo passato. Nel 1996, gli viene affidato il compito di realizzare la statua dedicata a Leonardo Sciascia. L’istallazione del monumento in bronzo è accompagnata da furiose polemiche, perfino un referendum pro o contro: per la prima volta in Sicilia, forse in Italia, una statua viene collocata direttamente sul marciapiede, senza piedistallo né basamento. Leonardo Sciascia è raffigurato mentre passeggia, una sigaretta tra le dita, nella piazza di Racalmuto dove spesso tornava tra gli amici di sempre. Uno scandalo, anche se a Lisbona e a New York già esistono statue così, la più celebre è quella dello scrittore Fernando Pessoa al tavolino del bar dove amava meditare.
Ormai la statua di Sciascia a Racalmutoè un’abitudine per i paesani, un’attrazione per i turisti di passaggio che amano farsi fotografare abbracciati al monumento dello scrittore. È stato facile per Giuseppe Agnello, reduce di questa esperienza, vincere il concorso indetto dal Sindaco di Porto Empedocle per la statua dedicata dal commissario Montalbano. “In realtà – spiega Giuseppe Agnello – all’inizio avevo pensato anch’io a una statua con la faccia e il corpo di Luca Zingaretti. Ma le perplessità di Cammilleri mi hanno convinto: sarebbe stata un’opera un po’ kitsch. Sarebbe diventata la statua dell’attore. E così mi sono messo a leggere i libri, a vedere gli articoli nei quali Cammilleri descriveva il ‘suo’ Montalbano. Illuminante è stata una telefonata con lo scrittore, quando mi ha parlato di Pietro Germi. Né è venuto fuori un Montalbano con la faccia di un siciliano antico: i baffi, i capelli folti e tirati indietro, un volto abbastanza comune nei nostri paesi. Un siciliano degli anni Cinquanta”.
Il ragazzo che sussurrava alle capre ha avuto fortuna. Ma non si è montato la testa. Purtroppo, i nonni e il papà di Giuseppe non ci sono più. Non ci sono più né pecore né capre. Per rivivere quei pomeriggi sotto un albero di noce, ogni tanto vado nell’atelier di Giuseppe Agnello, mi siedo tra le sue statue di gesso, decine e decine di capre e pecore bianche e immobili, anche io cerco di sussurrare e pecore bianche e immobili, anche io cerco di sussurrare alle capre. Ma non mi rispondo nemmeno con un beeee.
Conosco Giuseppe Agnello da tempo immemorabile. È di Racalmuto, come me. Ho l’immagine di un ragazzo esile, dai tratti gentili, il tono di voce sommesso: figlio e nipote di pastori, pascolava le capre di famiglia. L’ho conosciuto assieme a suo nonno che tutti chiamano Trentanove, un soprannome che nella cabala siciliana significa chiacchierone: aveva un centinaio di capre di razza maltese, dalle corna orgogliose, il pelo lungo. Bestie di rara bellezza. Giuseppe andava in giro con suo nonno, il bastone di legno di mandorlo, il tascapane a tracolla, gli scarponi chiodati. Quando passavano dalle parti della mia campagna - l’ovile era poco distante, sul colle più alto del paese - passavamo lunghe ore assieme. Trentanove amava raccontare storia antiche, lo faceva col ritmo del narratore di professione. Con Giuseppe, che ha più o meno la mia età – adesso annovera quarantasei anni – restavamo ad ascoltare, seduti sotto un albero di noce, all’ombra: le capre, più di cento, pascolavano tranquille, di tanto in tanto richiamate da un fischio di Giuseppe o di suo nonno. Mi stupiva come facessero a riconoscerle una ad una, nome per nome: ‘Ngilina, Munachedda, Ninuzza, Stiduzza.
In quei lunghi pomeriggi estivi, capitava che Giuseppe tirasse fuori dal suo tascapane un quaderno e una matita: assorto, mentre suo nonno continua a raccontare, Giuseppe disegnava. Invidiavo la sua capacità di ritrarre con pochi tratti di matita la testa di una capra, il volto di suo nonno, il gesto di suo nonno, il gesto di una mano, una pietra, un troco di ulivo. Credo che sia nato in quei lunghi pomeriggi silenziosi, in mezzo la natura, l’estro di Giuseppe Agnello. Guardandolo, mi tornava sempre in mente la copertina di un album da disegno, al quale affidavo i miei poveri sgorbi, raffigurava un giovanissimo Giotto che disegnava con precisione su una pietra il profilo di una pecora, sotto gli occhi stupiti di Cimabue.
Non eravamo nella Firenze del 1200, ma nella Racalmuto del secolo scorso. Insomma, per il ragazzo che sussurrava alle capre la strada era tutta in salita. Ma Giuseppe Agnello, dietro al suo profilo mite, ha una volontà di ferro. Si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Palermo, dove incontra il professor Giuseppe Rizzuti, anche lui con origini che affondano nella terra agrigentina: ne viene influenzato, indirizzandosi verso la scultura. Conclusi gli studi comincia la sua perenne peregrinazione tra Racalmuto e il resto del mondo. Lunghi periodi a Milano, poi Carrara, dove insegna per sette anni e conosce sua moglie Katarina, svizzera di Basilea. Una permanenza in Svizzera, la nascita di due figli, mentre Giuseppe Agnello continua ad andare e venire dalla Sicilia, vittima di quel destino per cui diventa impossibile liberarsi della propria terra: né con te, né senza di te.
Infine, la scelta di insegnare a Palermo, in Accademia. E di prendere domicilio nella campagna di Racalmuto. Qui, Giuseppe Agnello torna al suo vecchio amore: scolpisce teste di capre e di pecore, tante da farne un gregge, un’opera d’arte che ricorda il suo passato. Nel 1996, gli viene affidato il compito di realizzare la statua dedicata a Leonardo Sciascia. L’istallazione del monumento in bronzo è accompagnata da furiose polemiche, perfino un referendum pro o contro: per la prima volta in Sicilia, forse in Italia, una statua viene collocata direttamente sul marciapiede, senza piedistallo né basamento. Leonardo Sciascia è raffigurato mentre passeggia, una sigaretta tra le dita, nella piazza di Racalmuto dove spesso tornava tra gli amici di sempre. Uno scandalo, anche se a Lisbona e a New York già esistono statue così, la più celebre è quella dello scrittore Fernando Pessoa al tavolino del bar dove amava meditare.
Ormai la statua di Sciascia a Racalmutoè un’abitudine per i paesani, un’attrazione per i turisti di passaggio che amano farsi fotografare abbracciati al monumento dello scrittore. È stato facile per Giuseppe Agnello, reduce di questa esperienza, vincere il concorso indetto dal Sindaco di Porto Empedocle per la statua dedicata dal commissario Montalbano. “In realtà – spiega Giuseppe Agnello – all’inizio avevo pensato anch’io a una statua con la faccia e il corpo di Luca Zingaretti. Ma le perplessità di Cammilleri mi hanno convinto: sarebbe stata un’opera un po’ kitsch. Sarebbe diventata la statua dell’attore. E così mi sono messo a leggere i libri, a vedere gli articoli nei quali Cammilleri descriveva il ‘suo’ Montalbano. Illuminante è stata una telefonata con lo scrittore, quando mi ha parlato di Pietro Germi. Né è venuto fuori un Montalbano con la faccia di un siciliano antico: i baffi, i capelli folti e tirati indietro, un volto abbastanza comune nei nostri paesi. Un siciliano degli anni Cinquanta”.
Il ragazzo che sussurrava alle capre ha avuto fortuna. Ma non si è montato la testa. Purtroppo, i nonni e il papà di Giuseppe non ci sono più. Non ci sono più né pecore né capre. Per rivivere quei pomeriggi sotto un albero di noce, ogni tanto vado nell’atelier di Giuseppe Agnello, mi siedo tra le sue statue di gesso, decine e decine di capre e pecore bianche e immobili, anche io cerco di sussurrare e pecore bianche e immobili, anche io cerco di sussurrare alle capre. Ma non mi rispondo nemmeno con un beeee.
( Questo articolo lo trovi in I Love Sicilia, nel numero di Luglio 2009, nella rubrica STRANI NOSTRANI )
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