A Savona in occasione del ventennale dalla scomparsa del grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia (20 novembre 1989), per 4 mesi la libreria UBIK espone in esclusiva nazionale un suo manoscritto originale inedito del 1979, mai pubblicato né esposto in visione, per gentile concessione del suo biografo, lo scrittore e giornalista del Corriere della Sera MATTEO COLLURA (foto a destra), sul tema del futuro della letteratura italiana: un autentico gioiello letterario, pieno di ironia e di passione: la letteratura non deve avere casa ma stare all’aperto “…con orecchie intente, sguardo acuto, sospettosa, guardinga, insicura, con soprassalti e freddo nelle ossa…”
Riportiamo qui sotto la trascrizione:“Dove va la letteratura italiana? Ma secondo certe analisi, certe diagnosi – e cioè secondo certi desideri, certi dettami, certi decreti dati in sede sociologica – dovrebbe anche lei, come tutti e tutto, andare a casa. Tornare, come ormai si dice e per moda si impone, al privato.Ma dove può stare di casa, la letteratura italiana? Non pare ne abbia ancora di assegnata, né in città né in campagna. Nemmeno la più piccola dacia. Per sua fortuna – anche se qualcuno ci terrebbe ad averla.Può trovare qualche casa d’affitto: ad equo o inequo o iniquo canone. Ma son case così rumorose, piene di spifferi e forse anche di fantasmi, che è preferibile restarsene all’aperto.Direi, ecco, che è costretta a starsene fuori: con orecchie intente, sguardo acuto, sospettosa, guardinga, insicura, con soprassalti e freddo nelle ossa. A meno che non preferisca l’iniquo canone”.
Il secondo manoscritto inedito qui sotto di LEONARDO SCIASCIA risale invece al 18 maggio 1988, giorno della morte di Enzo Tortora. Sciascia si trovava a Milano, a pranzo con Collura. Appena appreso della morte del noto conduttore, Sciascia scrisse un commento a caldo, con forte commozione:“Sono stato da Tortora sabato pomeriggio. Non l’ho vedevo da qualche mese. Irriconoscibile, una maschera di sofferenza. Parlava con grande stento, ma con lucidità e precisione. E con passione, nell’illusione che quel che lui aveva sofferto servisse ad ammonire, a correggere. Era commosso di una lettera che il magistrato Guido Viola gli aveva mandato dopo la trasmissione televisiva di Giuliano Ferrara, volle che la leggessi. Ci siamo conosciuti nel 1958. Quando ci incontravamo parlavamo di Stendhal, di acqueforti; diletti che avevamo in comune. Non l’ho mai visto in televisione. Sono stato subito certo della sua innocenza, l’ho dichiarato senza riserve. E negli ultimi tempi non abbiamo parlato di Stendhal e di Callot: il problema della giustizia aveva sovrastato tutto. Che cosa dire, in questo momento? E’ stato uomo di grande dignità, ha saputo comportarsi con dignità di fronte all’ingiustizia e alla morte. Non dimentichiamolo”-
Leonardo Sciascia (Racalmuto, Agrigento, 1921 - Palermo, 1989) ben presto si dedica alla sua più autentica vocazione, quella - per adoprare le parole dell’autore - di “una materia saggistica che assume i modi del racconto”. L’uscita de “Le parrocchie di Regalpetra” (1956) e de “Gli zii di Sicilia” (1958) già lascia individuare le linee-guida dell’opera sua.Dal punto di vista narrativo, prevale la predilezione per l’investigazione poliziesca o giudiziaria, in qualche modo per il “giallo” quale veicolo di genere, adatto a raggiungere un pubblico di lettori il più possibile vasto. Sarà così sia nei lavori di ambientazione contemporanea, da “Il giorno della civetta” (1961) e passando per “A ciascuno il suo” (1966), al medesimo tempo romanzi avvincenti ed analisi penetranti del fenomeno della mafia.Sovente impegnato nel dibattito civile, ha accentuato in tal direzione la sua presenza nel corso degli anni Settanta, seguendo i canoni della letteratura d’intervento (”L’affaire Moro”, 1978) ed ancor più attraverso numerosi articoli di giornale. Convinto, come sempre e da sempre, che “la letteratura può permettersi di esercitare la parte della verità perché può permettersi di non essere potere”.
Libreria Corso Italia, 116r Savona
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