giovedì 11 giugno 2009

Lettera di Sergio Amato sulla vicenda del "cilio"


Caro Sergio, approfitto della pagina di FB a me consanguinea per farti pervenire questa mia missiva che non so come appiccicare al tuo blog. Apprendo casualmente, che anche sulla rete si disquisisce animatamente su questa strana vicenda del “cilio”; dico casualmente, perché purtroppo mi ritrovo a vivere un certo caratteriale e imbarazzante distacco nei confronti di queste nuove forme di comunicazione, preferendo le corrispondenze epistolari cartacee possibilmente con carte ed inchiostri pregiati, anche senza sigilli in lacca. Aldilà dell’ironia che mi infliggo, in riferimento a questa vicenda, mi sento in dovere di fornire delle precisazioni.

In data 6 giugno vengo invitato a visionare i fatidici lavori di recupero del “cilio” dei borgesi nei pressi del magazzino retrostante la Chiesa del Monte, notando al primo impatto visivo con dispiacere, che i lavori iniziati da non so quando, consistono nell’avere messo a nudo l’intera superfice lignea del “cilio”.Ma come per un osso non completamente spolpato, ho avuto la possibilità di visionare la stratificazione storica dei vari interventi di restauro (se restauro possono definirsi le varie raschiature e tinteggiature) subiti approssimativamente da almeno un cinquantennio.Ho avuto occasione di constatare che sotto vari strati di ritinteggiatura, alle origini le decorazioni in oro citate dal Tinebra Martorana nel suo “Memorie e Tradizioni”, erano dorature date da foglia d’argento meccato su base rossa, materiale molto delicato alle abrasioni e che poco si presta al calpestio e martoriamento cui notoriamente è sottoposto il “cilio”, almeno sin dai tempi di cui narra il Tinebra Martorana.

Tale riscontro mi ha portato a riflettere sul fatto che la maestranza che lo realizzò non contemplò l’uso belligerante che i “burgisi schietti” ne fecero col passare degli anni. Per tali motivi la delicata meccatura non durò molto e negli anni fu via via ricoperta prima da porporina (pigmento metallico in grado di creare effetti brillanti, quasi come quelli della foglia d’oro), in seguito da smalti ad oro, per arrivare in tempi più recenti a quel giallo smaltato tipico dei carretti siciliani di ultima manifattura. Per quanto riguarda la cromia dell’opera lignea, si riscontra una prima mano di tempera in alcuni punti “rosso pompeiano”, in altri “blu azolo”, in altri, in particolar modo nel basamento quel grigioverde tipico delle nostre parti e che si riscontrava all’interno della Chiesa del Monte prima della ritinteggiatura subita negli anni settanta.

Le mani successive, in epoca precedente gli smalti, furono date ad olio, coprendo ed alterando irreversibilmente le cromie sottostanti (poiché le sostanze magre tendono ad assorbire le sostanze grasse). Successivamente nell’epoca degli smalti furono effettuate varie tinteggiature senza una precisa ricerca cromatica e seguendo con molta approssimazione la tonalità precedente, in funzione della scarsa disponibilità nella gamma dei colori da parte delle botteghe locali.

Ritornando all’incresciosa vicenda del restauro improvvisato, il motivo per cui ho voluto essere così tecnicamente dettagliato in questa mia lettera, è legato all’esigenza di far comprendere come effettivamente un recupero delle condizioni originarie del “cilio” pone un increscioso dilemma sulla tipologia del restauro da effettuare: un restauro conservativo (atto a conservare i banali smalti degli ultimi decenni) o di ripristino, ma di quale stato? del primo? del secondo? Etc. etc. E stando al termine stesso di restauro (dal latino restaurare, re di nuovo e staurare rendere solido) si può dire che chi si stava improvvisando restauratore sarebbe sicuramente riuscito a rendere di nuovo solido il “cilio”.

Ma a questo punto cosa si fa, a pochi giorni dalla Festa del Monte?

Dal mio punto di vista posso fare ben poco, visto che nessuna carica istituzionale mi ha conferito un incarico, che in ogni caso per impegni miei lavorativi inerenti le prossime settimane, non avrei potuto assumere. Quel che ho fatto assieme a Nicolò Rizzo è dare dei consigli su quello che si sarebbe dovuto fare in merito. Come farlo è un problema di cui però non posso, né sono in dovere di assumermi la responsabilità.

Concludendo, si narra di un quarto “cilio di li mulinara” scomparso, potremmo nascondere i cocci sotto il tappeto, così un giorno si narrerà di un tempo in cui a Racalmuto per la festa del Monte sfilavano quattro “cilii” e non due. Scherzi a parte, quello che tengo a precisare in realtà è il fatto che, se si fosse stati in grado di ripristinare lo stato originario del “cilio” con un lungo e meticoloso lavoro di restauro fatto in maniera scientifica, si sarebbe dovuto per forza cambiare la destinazione d’uso dello stesso: non più scalate e scazzottate, ma solo pacifiche processioni contemplative di un “cero votivo”.

Sergio Amato

1 commento:

  1. La solita tiritera.
    Chi fa e fa anche bene deve essere fermato.
    Siete ancora vittime di quella visione gattopardiana della vita dei Siciliani.
    Che cosa sosteneva Tomasi di Lampedusa?
    'In Sicilia l'unico peccato che non si perdona è quello di fare'.
    Ebbene, siete fermi ancora a quel passaggio a livello di Tomasi di Lampedusa?
    ASPETTATE ANCORA CHE PASSI IL TRENO?
    Non vi siete accorti che da anni di treni ne sono pasati parecchi e voì sempre lì a criticare inutilmente, senza tentare almeno di prendere il treno giusto che è anche il nostro se volete.
    Non tanto il treno dei desideri che come diceva Celentano, 'all'incontrario va', ma il treno della voglia di fare, il treno dello sviluppo.Che ci fate lì fermi al passaggio a livello?
    Venite con noi.
    Non state semplicemente lì a buttare fango su chi si sta impegnando persino a riparare il nostro 'Ciliu'.
    Credete che questi ragazzi, seguiti tra l'altro dal Prof. Rizzo, stiano facendo male?
    Fate voi allora.
    Prego accomodatevi.
    Credete che tutto quello che si fa a Racalmuto fa schifo, anche se tutt'Italia, da sempre e non solo per la venuta del Presidente Napolitano, ha apprezzato Sciascia e Racalmuto, compreso ciò che noi miseri amministratori mortali stiamo facendo?
    Prego accomodatevi.
    Ma se non avete voglia di far niente e soprattutto di non far fare niente a nessuno, ma semplicemente di stare al passaggio a livello per esprimere delle critiche ferali, cattive e soprattutto fine a sè stesse ed allora, per cortesia, non disturbate la gente che lavora e si impegna e che è soprattutto pronta ad accettare i buoni consigli.
    Anche i vostri, se necessario.
    Pur sapendo a priori che sono consigli dati in malafede, per tentare di bloccare ogni anelito di sviluppo e quel dinamismo che abbiamo impresso alla vita sociale, culturale ed economica di questo nostro paese

    Salvatore Petrotto
    sindaco di Racalmuto

    RispondiElimina