lunedì 6 agosto 2012

Lele Mora (dopo il carcere) non esiste più, torno a essere Gabriele

La barba un po’ lunga, le occhiaie profonde, i capelli più radi e bianchi, il volto scavato. Eppure lo sguardo è sereno, il sorriso più schietto: eccolo Lele Mora nella sua prima fotografia fuori dal carcere. Bisogna riconoscerlo: è davvero un altro uomo. E non soltanto perché si vedono bene i 50 chili persi in un anno e due mesi di cella. «Lei l’altro giorno mi ha chiesto cosa ho pensato appena fuori dal carcere...Ebbene, guardando un cielo per me insolitamente blu, pensavo a quel mondo di acute sofferenze che mi lasciavo dietro, un mondo di privazioni, di sacrifici sia per i sorvegliati che per i loro sorveglianti, una umanità dimenticata: che sarà anche ignorante del mondo delle regole, ma è comunque ricca di amore e sensibilità che il più delle volte non ha possibilità di esprimere».
Dove sono le olgettine, i tronisti e quell’altra umanità che fa di tutto per non essere dimenticata e che rappresentava la sua corte ai tempi d ’o r o del Twiga e della movida sfrenata di Corso Como? «Non ci sono e, in fondo, non ci sono mai stati veramente. Io ho trattato soprattutto star di livello internazionale. Ma comunque il Lele Mora delle riviste di gossip, di un certo mondo patinato e opaco non lo vedrete mai più». Al punto che d’ora in poi vuole essere chiamato soltanto «Gabriele»: «Come mi chiamava la mia mamma quando ero bambino». L’ennesima furbizia di un uomo già rinato dalle ceneri almeno un paio di volte? «400 giorni di carcere mi hanno fatto capire tante cose, ad esempio che avevo tolto le carezze ai miei figli per darle a chi non le meritava. La prigione mi ha aiutato a riscoprire le cose importanti della vita che poi sono quelle che conoscono le persone semplici».

C’è un’immagine che, suo malgrado, l’ha rappresentata in questi anni: una foto dove compariva come un grasso pascià adagiato tra cuscini e giovinetti seminudi intenti a massaggiarle i piedi «Quella foto non mi ha mai rappresentato, non ero io, fu uno scatto rubato». Chi di spada ferisce...Mora sorride: «Sono stato vittima di me stesso. Mi sono trovato in certi contesti, in certe situazioni, dove dovevo darmi dei pizzicotti: “Ma tu, Gabriele, come puoi essere a casa di questo signore? Un sogno...”». O un incubo. Dipende dai punti di vista. «A volte ho avuto delle bistecche sugli occhi. Forse anche qualche amore sbagliato. Qualcuno mi ha deluso».

Ricorda Mora, quando minacciò in diretta tivù i giornalisti? «Ho ripensato a tante mie arroganti polemiche come quando offesi Formigli, i giornalisti e i comunisti per il loro lavoro e le loro idee, con frasi e un linguaggio per me oggi irripetibile, con minacce di cui mi vergogno. E come mio primo atto nuovo voglio chiedere scusa a Formigli e ai suoi colleghi, a tutti, senza se e senza ma». Si diceva che lei fosse fascista. «Non lo sono mai stato davvero. Sono nato in una famiglia contadina, da bambino andavo sull’aia a calpestare il grano con i piedi nudi...Lo so, fa sorridere, ma sono questi i ricordi che mi vengono in mente: le mie origini umili, la mia terra».

Il patto è che non si parli della attualità giudiziaria, dunque né di Emilio Fede né di Silvio Berlusconi. «Per rispetto ai giudici». Perché, informano i suoi avvocati, le uniche dichiarazioni in questo senso le farà quando si presenterà a processo. E Mora è molto attento a mantenere l’impegno. Però fa capire che con un certo mondo, con certi «amici» ha chiuso davvero: «Non provo rancore, né risentimento perché, vede, in fondo si tratta sempre di sentimenti anche se negativi. Invece verso certe persone non provo più nulla, le ho cancellate dalla mia mente e dalla mia vita». (Paolo Colonnello, La Stampa.it)

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