domenica 12 giugno 2011

"A Regalpetra" è pericoloso raccontare affari, appalti, commerci illegali, traffici di danaro

Riportiamo integralmente un articolo scritto da Emanuela Medoro "Il Capoluogo.it" d'Abruzzo su Gaetano Savatteri giornalista e scrittore. Per i contenuti molto attuali ed interessanti consigliamo a tutti un'attenta lettura.

L'Aquila, 28 mag 2011 - di Emanuela Medoro -
Gaetano Savatteri, giornalista per vocazione sin dall’infanzia, ha narrato la sua vita, incontri ed esperienze, dando un contributo fortemente personale al tema della educazione alla legalità.

È nato a Regalmuto (Racalmuto), in una zona ad alta densità di produzione di grandi scrittori, di quelli senza i quali la storia della letteratura italiana sarebbe diversa : Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri.

Il titolo del suo intervento sembra la parafrasi aggiornata, meno tragica, in termini adatti ai ragazzi delle scuole con scarsa confidenza con i classici della letteratura, della frase di Sofocle secondo cui la mancanza di verità è causa di una catastrofe, lui si concentra sul potere mistificatorio e fuorviante della bugia, quella diffusa dai media sui grandi fatti del giorno che orientano l’ opinione pubblica ed addormentano le coscienze.
La prima domanda della moderatrice tocca proprio la curiosità su questo punto e chiede come mai sono nati e cresciuti tanti scrittori in un posto fra gli ultimi in tutte le classifiche italiane sullo stato di benessere ed il tenore di vita dei suoi abitanti. Il giornalista cita qui la risposta di A. Camilleri: «Perché scrivere non costa niente…Se avessi avuto i soldi avrei messo su un’azienda», spiegò questo fenomeno aggiungendo che nel deserto sociale ed economico la natura umana può essere osservata meglio.

In quella zona, dunque, la povertà è stata matrice di letteratura, rovesciando la tradizione del letterato nato e cresciuto in ambiente d’élite, peraltro confermata da Giuseppe Tommasi di Lampedusa.

Dunque G. Savatteri è nato all'ombra di un grande della narrativa, Leonardo Sciascia, autore de Il Giorno della Civetta, ed è cresciuto convinto della forza delle parole e della scrittura nella società. Lui fu attivo ed impegnato in attività culturali fin da ragazzo, e crebbe così nell’illusione che queste potessero tenere la sua comunità al riparo dalla illegalità, da guerre e stragi di origine mafiosa e da esperienze tipo Palermo e Corleone.

Se non ché, nel 1989, proprio pochi mesi dopo la morte di Leonardo Sciascia, scoppiò in quella zona una feroce guerra tra cosche mafiose che seminò venti morti in due stragi in un solo anno, i protagonisti di queste guerre erano i suoi coetanei. Come si scatenò la guerra, dunque, in quel paese ritenuto immune da quella violenza?

Il primo punto di riflessione è offerto dalla distinzione tra il significato della parola mafia intesa come un comportamento sociale per cui la mafia c’è ma non esiste, e come tale non può essere perseguita penalmente, e la mafia come associazione a delinquere, inclusa come tale nel codice penale solo in tempi recenti, nel 1982. Dopo tanti anni egli lesse un atto giudiziario, scoprì che i suoi coetanei erano diventati capi mafia, uno solo collaboratore di giustizia per vendicare amici e fratelli ammazzati.

Da qui parte la ricerca, nella scoperta che la cultura non salva il mondo in generale, nel suo caso particolare sentiva di non essere riuscito a comunicare valori civici positivi ai suoi coetanei. Incontra dunque mafiosi per scoprire in quale momento della loro crescita le loro vite si erano separate, quando avevano ascoltato voci diverse. Le parole vendetta, destino, difesa riassumevano le risposte più comuni. Riporta in modo particolare un’esperienza di reclutamento, narrata da un ergastolano. Da ragazzo qualcuno gli aveva rubato il motorino, il giorno dopo un signore gli offrì il piacere di farglielo ritrovare, lui accettò l’offerta, fu quello l’inizio della catena di eventi che lo portò alla sua situazione attuale.

In particolare il giornalista si è soffermato sull’ esperienza di Alfredo Sole, uno sconfitto delle guerre di mafia, autore di omicidi, in galera da vent’anni, fine pena mai. A. Sole ha raccontato che a scuola nessuno gli aveva insegnato nulla, che era un emarginato in una classe di emarginati. Non sapeva leggere e neppure sognare. I valori di riferimento presenti nella sua mente erano vendetta, onore e rispetto. In galera ha incominciato a leggere, fino ad arrivare a Delitto e Castigo, si è diplomato, si è iscritto a Filosofia, i libri, insomma gli hanno evitato di suicidarsi portandolo fuori dall’isolamento della cella. Aggiunge ergastolano: “Il libro mi ha fatto crescere, se avessi letto prima, non avrei fatto quello che ho fatto, ma nessuno, quando ero ragazzo, mi ha insegnato a leggere e sognare”. Dunque, commenta il giornalista, se la cultura non salva il mondo, almeno può salvare una vita.

La domanda di P. Tocci sulla differenza che c’ è nel narrare la mafia se uno vive in o lontano dalla Sicilia, porta ad una riflessione sull’emigrazione, andare o restare?, domanda a cui nessuno sfugge nel sud. Raccontare la mafia in Sicilia è costato la vita a molti giornalisti, oggi ce ne sono ottanta minacciati in tutta Italia, in modo sottile, subdolo. Il potere finanziario non vuole ostacoli, è pericoloso raccontare affari, appalti, commerci illegali, traffici di danaro. Chi racconta queste cose, sicuramente ha dei problemi, da lontano è meglio raccontare questi fatti.

Quanto alla possibilità di vincere la paura dell’omertà, quella si può superare solo se la persona non è mai sola. Per esempio, la ragazza stuprata potrà dimostrare il crimine di cui è stata vittima, solo se appoggiata dalla famiglia, dagli amici e dall’ambiente in cui vive. Lo stesso è per la storia del racket che ha avuto una svolta quando le vittime hanno capito che uniti potevano vincere le minacce e la paura.
Quanto a Regalpetra vista da Roma, Savatteri cita un verso: Nè con te, né senza di te, vivere posso. A Regalpetra non potrei più viverci, ma mi sento a casa. La domanda sul travisamento della realtà, sulla bugia colossale della situazione de L’Aquila dopo il sisma, riporta una considerazione generale sulla mistificazione che appartiene al potere, che può unire nella sua realizzazione istinti bassi ed esigenze alte. La mistificazione è complessa e sofisticata, domani qualcuno dirà che l’Aquila non è mai esistita, attenzione!

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