lunedì 23 novembre 2009

Il mio 68 a Racalmuto ... Carmelo Sciascia


Bellissima l’idea di Libertà di portare avanti dei servizi monotematici sulla città. Focalizzare i quartieri e/o le frazioni, gli eventi di spettacolo e culturali, il Po ed i fiumi e le vallate ed i borghi della provincia; vuol dire fare una operazione che trasforma il nostro giornale da quotidiano, semplice registratore di eventi ed accadimenti, (rosa, neri o di qualsiasi altro colore), in un organismo di promozione civile e culturale, in un motore di stimolo alla politica ed alla società civile tutta.
Questo preambolo per dire che ho apprezzato tantissimo questa scelta editoriale che tanti dibattiti ha stimolato.
Personalmente mi sono sentito stimolato ad intervenire su un dibattito che ampio spazio ha trovato in questo periodo sul giornale, un argomento quale il sessantotto, che oggi nel quarantesimo rivela ancora l’urgenza del confronto e della discussione su temi sempre attuali, che da quel movimento erano stati posti in evidenza e ritenuti di vitale importanza.
Vorrei dare una mia personale visione di quel movimento, da una angolazione diversa da tutti gli altri punti di vista che finora si sono succeduti. Nel 68 ero appena quindicenne, un liceale quindicenne, di un paese sperduto dell’estremo sud. Un ragazzo che abitava a Racalmuto e frequentava il liceo ad Agrigento. Una provincia che è un’isola nell’isola e che con altre due province siciliane formavano il triangolo della fame, in opposizione al triangolo dello sviluppo economico ed industriale rappresentato allora da Genova, Torino e Milano. Ero giovanissimo allora, ma come tutte le nuove tendenze culturali il 68 arrivò al Sud con qualche anno di ritardo, quindi dopo, di preciso non saprei, comunque è un fenomeno che si può collocare storicamente più che fine anni sessanta, inizi anni settanta. Nell’età giusta per parteciparvi a pieno titolo, con le azioni tipiche del caso. Azioni tipiche: occupazione del liceo, manifestazioni di piazza, volantinaggio, vendita giornali, creazione di un foglio dattiloscritto e ciclostilato che si chiamava, provate ad indovinare, “Il Rivoluzionario” (di cui gelosamente conservo ancora qualche copia).
Adesso le immagini mi scorrono davanti, elementi reali e materiali frammisti a pennellate di sentimenti e sensazioni intimiste. Tutto ciò crea un effetto dissolvenza, un effetto che impedisce di fare una analisi fredda, precisa e puntigliosa dei fatti. E sono passati 40 anni! La difficoltà ad analizzare quegli eventi è chiaro, dipende dall’essere stati coinvolti, e dall’essere stati coinvolti nel momento in cui lo sviluppo materiale della crescita fisica in divenire si mescolava in un unicum alle più intime e profonde vibrazioni dell’animo. (il ribollire del brodo primordiale del diventare individuo).
L’età della prima giovinezza, è l’età dei primi amori, è l’età in cui tutto ciò che si fa ci coinvolge, -come l’estasi i santi-.
Il politico è stato il personale, tout-court! Scrisse qualche anno fa, come presentazione in un catalogo ad una mia mostra di pittura un politico, assessore comunale, Totò Sardo : “… una lunga amicizia mi lega a Carmelo Sciascia, ci conosciamo da oltre 35 anni, da quando nell’autunno 1968, ancora adolescenti, incominciammo a viaggiare come studenti pendolari da Racalmuto ad Agrigento per frequentare il liceo. Erano gli anni della contestazione: da lì a qualche mese sarebbe scoppiato il Maggio francese (1967) e dopo l’autunno caldo italiano(1969). Incominciavano ad imperversare le lotte operaie, prendeva corpo il Movimento Studentesco, le nuove generazioni venivano prese dal mito del “Che” e Di Ho Chi Minh, scendevano nelle piazze contro l’imperialismo americano, sognavano la Rivoluzione e vivevamo nella illusione dell’avvento di una società senza classi, senza sfruttati ne sfruttatori. Anche noi, poco più che ragazzini, affascinati da queste idee di uguaglianza e di libertà iniziammo la nostra militanza nelle file della FGCI prima e del PCI dopo assieme ad altri amici comuni: Enzo Alfano, Giovanni Chiodo, Pino Volpe, Federico Martorana, Pippo di Falco, Angelo Lauricella, Luigi Capitano ed altri ancora”.
Questi nomi, avendoli conosciuti molto bene mi aiutano a comprendere meglio cosa è stato per me il 68. e lo voglio esprimere più in poesia che nella fredda analisi politica cui ci aveva abituati la paxis comunista che partiva dall’autocritica per giungere alla critica, come dalla politica internazionale si giungeva poi all’analisi della politica nazionale e di poi a quella locale. Si potrebbe partire dai tanti chilometri che si percorrevano a piedi per giungere da casa alla stazione ferroviaria del paese e poi arrivati ad Agrigento, dalla stazione al liceo, in tutto circa cinque chilometri, percorsi in fretta ed in ansia perchè spesso il treno giungeva in ritardo ed il preside, un certo Cecè, legato com’era ad una visione autoritaria ci accoglieva con il cancello chiuso. Chiudo questa parentesi dalle tinte cinematografiche neo realiste (mi viene in mete quel bellissimo film “Un ragazzo di Calabria), per tornare al discorso sugli amici.
Amici, con i quali si condivideva, quasi tutto, i viaggi in logore cinquecento, confidenze sentimentali, discussioni interminabili sul senso del comunismo e della libertà. L’oggi non esisteva, parafrasando Lidia Ravera, si può dire che avevamo solo ali, sogni…senza pensare ai bisogni! Sarà anche per questo se alcuni dei nomi su menzionati non sono più tra noi! E dire che sono stati poeti e pensatori ma…soprattutto sognatori. Qualcuno è ancora tra noi, con cariche e prebende, probabilmente chi ha pensato a risolvere nell’immediato i propri bisogni. Qualcun altro si è trascinato negli anni sempre in modo ondulatorio tra sogni e bisogni …è sopravvissuto in un mondo proprio, avulso, isolato, qualcun altro ancora si è mimetizzato nella mediocrità, nella quotidianità, in ciò che oggi rappresenta il modello-cardine della società , il borghese che può vantare nel proprio biglietto di visita, qualche titolo onorifico.
Mi tornano, di tanto in tanto, alla memoria canzoni tipo Signora Contessa e simili e li sento come lontanissime nel tempo, ricordi da rimuovere quasi, ma, poi ascolto “Compagni di scuola” di Venditti e rivivo il senso di allora che continua nell’oggi con canzoni come “Eravamo quattro amici al bar” di Gino Paoli, ed ascolto e canticchio Addio Lugano Bella e capisco che il senso dei sogni di allora non è finito, e come vecchi alpini di fronte ad un bicchiere di grappa, mi commuovo e piango nel ricordo di scene di film come“uomini contro”.
Cos’era e cos’è oggi il 68? Una domanda che potrebbe avere tante risposte retoriche.
È stato ed è l’anelito di cambiamento e di libertà di ogni nuova generazione.
E la retorica con il suo rimando continuo, ci fa forse giungere a qualche verità.
Del 68 ricordo i comizi politici con Emanuele Macaluso allora segretario regionale in Sicilia del PCI, e le serate di recital di poesie con Ignazio Buttitta, e le serate con le canzoni gridate di Franco Trincale e le melodie strazianti delle canzoni di Rosa Balistreri, ed il vino…il vino (non era ancora conosciuto il nero d’avola, c’era solo “vinu buonu e vinu tintu” e credetemi era quasi tutto vino “tintu”.
C’era un professore nel mio paese Eugenio Napoleone Messana, era stato sindaco, è stato storico e poeta, forse sarebbe stato meglio definirlo un poeta della storia e della politica. A casa di Eugenio, si andava la sera a parlare di politica, di rivoluzione, di intrighi e complotti locali, Lui ci metteva il vino, così ci invitava, noi dovevamo portare la salsiccia.
E la politica era la vita, il sangue che ci alimentava come latte il poppante. Forse sarebbe meglio dire come il vino…
Le patate bollite delle bettole, le uova sode, le lumache, ed il vino…può essere questo il 68?
Ebbene sì, è stato, se non solo, anche questo. Si sentivano le urla dell’attentato alla Banca dell’Agricoltura di Milano, le urla degli attentati di Piazza della Loggia a Brescia, le urla dei braccianti di Avola e di Battipaglia.
Ed intanto i treni degli emigrati dal mio paese continuavano a partire per l’estero, il Belgio, la Germania, si tornava qualche volta per votare ma, non si avverava mai un vecchio slogan che nella seconda parte diceva che si votava per restare. Perché il 68 partito da Berkley, passato da Parigi, dalla statale di Milano, da Villa Giulia di Roma , poi giungeva anche al Sud, quel Sud che per buona parte specchiava ancora la realtà descritta dalle Parrocchie di Regalpetra, una realtà che spesso veniva assimilata dalla cultura marcusiana del settentrione come sottosviluppo indiano, lo stesso Danilo Dolci non capì mai appieno la peculiarità della realtà siciliana, pur vivendoci degli anni (anche se per inciso debbo dire che è stato bello il convegno che si è tenuto a Piacenza qualche tempo addietro su Danilo Dolci e la sua scuola).
Ed i Quaderni Piacentini…ebbene sì, anche questi erano cercati e letti, al mio amico Pippo ne manca solo un numero e mi chiede sempre di procurarglielo, ma puntualmente dimentica di dirmi quale…sarà un modo, quando ci incontriamo per illuderci che lo scorrere del tempo non ci appartiene!
Il cercare di affermare il proprio ideale di “potenza”, il sentirsi fuoco tra i fuochi come su una lunghissima spiaggia nelle notti di ferragosto. E’ amare ed odiare il mondo, amarlo in ciò che di simile ha con noi e di odiarlo in tutto ciò che alla nostra meta è di ostacolo.
Il 68 è il posto della mia anima (liceo ed università) come poteva esserlo per un operaio la propria fabbrica.
Il 68 è il mio paese, come può esserlo il paese nativo per l’emigrato.
Il 68 è la voluttà del corpo
Il 68 è esperienza dei sensi ed anelito al loro superamento.
Il 68 è stato il barlume iniziale della conoscenza.
Il 68 è stato lo splendore di ogni conoscenza ed il dolore che da essa deriva!
Il 68 è stata la primavera di Praga
Il 68 è Guccini e le sue canzoni…è Buttitta e le sue poesie
Il 68 sono le donne che abbiamo amato e che amiamo
Il 68 è ciò che ancora ci fa riempire di sdegno di fronte alle ingiustizie
Il 68 è ciò che ci fa porgere la mano al diverso
Il 68 è la poesia del mondo che ancora, malgrè tout, ci fa vivere!

Piacenza, 8.7.08

Carmelo Sciascia

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