venerdì 19 luglio 2013

Paolo Borsellino: "Sciascia mi disse che era stato strumentalizzato dalla malafede"


“Pochi giorni dopo, a un anno esatto dall’articolo sul «Corriere della Sera», Borsellino si incontra a Marsala proprio con Sciascia. Lo scrittore, nominato coordinatore del comitato scientifico dell’Ente teatro del Mediterraneo che dovrà organizzare una serie di rappresentazioni nell’isola di Mozia e tra le saline dello Stagnone, arriva a Marsala di prima mattina. I due si salutano con una calorosa stretta di mano; Borsellino svela in un’intervista a «L’Unità» un piccolo segreto che lo lega allo scrittore: «Ci siamo incontrati già alcuni mesi fa, a Gibellina, per caso, in occasione del ventennale del terremoto che rase al suolo la valle del Belice. Lui era il relatore ufficiale della cerimonia, io sono presente come “autorità”. E Sciascia, di sua iniziativa, mi ha avvicinato.

 Non ci conoscevamo di persona, è la prima volta che lo incontravo in vita mia. Iniziò a parlare dicendomi del suo articolo sul «Corriere», mi disse che era stato travisato, strumentalizzato dalla malafede di molti, che lui non aveva l’intenzione di indicarmi come professionista dell’antimafia. Voleva invece denunciare che il Consiglio superiore non aveva avuto il coraggio di darsi certe regole, di decidere in conformità alle stesse. Insisteva che il Csm si era data la regola dell’anzianità per gli incarichi direttivi e non osava cambiarla perché questo disturbava il corporativismo diffuso tra i magistrati, e per riuscire a nominare in alcuni posti taluni che non corrispondevano a questo modello di regola faceva i salti mortali. Mentre invece sarebbe stato più onesto che il Csm avesse avuto il coraggio di cambiare le regole. 

A Sciascia dissi che condividevo sulla mancanza di coraggio del Csm. So bene che la mia nomina a Marsala fu fatta arrampicandosi sugli specchi. Naturalmente non ritenni né ritengo che Sciascia, nel suo articolo originario, avesse voluto dire questo. Confesso che non glielo feci rilevare: ebbi l’impressione che Sciascia, nel dirmi quello che mi disse, fosse profondamente imbarazzato nei miei confronti, anche se mi parlava sinceramente riferendomi quella che era la sua opinione in quel momento dell’incontro. A mio parere lo fu perché lui sapeva che nell’articolo originario del «Corriere» invece aveva detto cose diverse. Bisogna riconoscere a tutti il diritto di cambiare opinione. E questo concetto me lo ribadì a Marsala, in presenza del collega Alcamo. Sciascia e io fummo invitati a presenziare alle manifestazioni promosse dall’Ente teatro del Mediterraneo. 


Il giudice Alcamo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ha avuto con me rapporti che definire ottimi è già poco: la polemica non ha lasciato nessuno strascico. Quando venni nominato procuratore a Marsala, lui lì era già giudice. Per un paio d’anni abbiamo lavorato insieme nei rispettivi ruoli. Che cosa ha spinto Sciascia a scrivere quel famoso articolo? A mio parere era molto preoccupato di un fenomeno che si era verificato in quel momento. L’antimafia era qualcosa che politicamente rendeva, e conseguentemente accanto a coloro che cavalcavano quella tigre perché ci credevano c’erano anche molte persone che la cavalcavano per tornaconto individuale. Lui intese indicare questo fenomeno all’opinione pubblica come esecrabile. Il suo intervento ebbe quanto meno il merito di stroncare molte carriere di politici che stavano salendo su quel carro con molta disinvoltura. Se Sciascia indicò, insieme a quei protagonisti politici, anche dei magistrati ciò significa che probabilmente il suggerimento ci fu. 

Non so da parte di chi. Ma so bene che all’interno della magistratura l’emergere di un gruppo di magistrati antimafia, che si erano occupati sempre di questo tipo di indagini, aveva creato delle resistenze. A qualcuno non andava giù. Sono le stesse resistenze di cui c’è traccia nel diario di Rocco Chinnici: quando parla dell’atmosfera di ostilità che avvertì appena iniziò a occuparsi di mafia. E quelle resistenze non nascevano tanto da mancanza di sensibilità antimafia o addirittura dall’esistenza in magistratura di una sensibilità mafiosa. Ma dall’esistenza di una chiusura corporativa di una parte della magistratura, che riteneva di finire nell’ombra proprio a causa dei professionisti dell’antimafia. No, con Sciascia non ce stato bisogno di riappacificarci, perché tra di noi non c’è mai stata guerra né questioni personali».

L’incontro di quel giorno termina a pranzo, in un ristorante sul lungomare di Marsala. Agnese Borsellino lo ricorda così: «A tavola ci siamo io, mio marito, Sciascia, che si siede accanto a lui, il giudice Alcamo. Si parla del più e del meno. Delle comuni origini agrigentine di Paolo e di Sciascia. Dei figli, del lavoro e delle inchieste antimafia. Sembrano due vecchi amici che si rivedono dopo anni. Della famosa polemica non parlano più. Hanno già chiarito tutto la mattina. Ha una sola curiosità, Paolo: chi ha segnalato allo scrittore il caso della nomina alla procura di Marsala? Non lo ha mai scoperto ma ha le idee chiare: è nell’ambiente di quei magistrati che temevano di finire nell’ombra, che va ricercato chi passò a Sciascia il bollettino del Csm con la seduta che decideva la nomina di Paolo».

L’arrivo di Borsellino a Marsala segna una svolta nello stile delle indagini antimafia di una procura da tempo sonnolenta. Nel febbraio del 1983 incontro il giudice, mi anticipa che anche Marsala avrà il suo maxiprocesso a Cosa nostra. Il procuratore spiega che ha deciso di unificare tutte le indagini sui delitti”. (UMBERTO LUCENTI CON AGNESE, LUCIA, MANFREDI E FIAMMETTA BORSELLINO, “PAOLO BORSELLINO”, EDIZIONI CORRIERE DELLA SERA – S. PAOLO”)

Nessun commento:

Posta un commento