LEONARDO SCIASCIA
DUE CARTOLINE DAL MIO PAESE
1
Il paese del sale, il mio paese
che frana - sale e nebbia -
dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi - ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili -
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari - il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese - e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra - “e se il sale
diventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).
2
Questo è il freddo che i vecchi
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame. Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.
Tuttolibri ha pubblicato in anteprima queste due poesie, edite dall’associazione “Amici di L
Leonardo Sciascia” in occasione del ventennale della scomparsa dello scrittore, con otto incisioni, testi di Roberto Roversi e Angelo Scandurra.
Sono versi del 1952, stampati da Sciascia in una plaquette con disegni di Emilio Greco: solo 111 copie con il titolo “La Sicilia, il suo cuore”.
E proprio la Sicilia è la vera protagonista di queste poesie: non è difficile immaginarsi quella Racalmuto tanto cara allo scrittore, che ora vi campeggia in statua in una via nell’atto di passeggiare.
La curiosità sta appunto nella forma, nella rarità della forma poetica nell’opera di Sciascia, finissimo narratore: visto l’ottimo risultato, è un peccato che non si sia cimentato di più con la poesia.
Questi 35 versi hanno l’afflato del Novecento, sanno davvero rendere il “cuore” dell’isola e tutti i suoi tormenti: l’attualità di quel “mio paese che frana” è crudamente imbarazzante, se dopo quasi sessant’anni la situazione non è migliorata, non è riuscita a far sembrare lontane e sbiadite queste due “cartoline”.
DUE CARTOLINE DAL MIO PAESE
1
Il paese del sale, il mio paese
che frana - sale e nebbia -
dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi - ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili -
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari - il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese - e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra - “e se il sale
diventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).
2
Questo è il freddo che i vecchi
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame. Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.
Tuttolibri ha pubblicato in anteprima queste due poesie, edite dall’associazione “Amici di L
Leonardo Sciascia” in occasione del ventennale della scomparsa dello scrittore, con otto incisioni, testi di Roberto Roversi e Angelo Scandurra.
Sono versi del 1952, stampati da Sciascia in una plaquette con disegni di Emilio Greco: solo 111 copie con il titolo “La Sicilia, il suo cuore”.
E proprio la Sicilia è la vera protagonista di queste poesie: non è difficile immaginarsi quella Racalmuto tanto cara allo scrittore, che ora vi campeggia in statua in una via nell’atto di passeggiare.
La curiosità sta appunto nella forma, nella rarità della forma poetica nell’opera di Sciascia, finissimo narratore: visto l’ottimo risultato, è un peccato che non si sia cimentato di più con la poesia.
Questi 35 versi hanno l’afflato del Novecento, sanno davvero rendere il “cuore” dell’isola e tutti i suoi tormenti: l’attualità di quel “mio paese che frana” è crudamente imbarazzante, se dopo quasi sessant’anni la situazione non è migliorata, non è riuscita a far sembrare lontane e sbiadite queste due “cartoline”.
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