Il rito
matrimoniale è il luogo figurato in cui la famiglia ha origine, in cui il
privato si scinde dal pubblico, in cui si stabiliscono i confini che separano
dall’estraneo. È il momento in cui
il sacro si manifesta, insomma, assumendo una forma istituzionale che conserva
però la cifra spirituale dell'unione.
È sacro, come la stessa etimologia indoeuropea
ci informa, ciò che è separato dal resto, ciò che risiede in uno spazio suo e
che va tutelato nel tempo. Anche gli album di matrimonio rientrano nel rito:
sono testimonianza dell’evento collettivo in cui tutti i presenti assistono al
passaggio dal pubblico al privato. È per questo che essi seguono certe scontate
modalità che si sostanziano nelle stesse foto, nelle stesse pose, nelle stesse
sequenze, negli stessi cliché. L’enorme libro fotografico farà parte degli
oggetti sacri della famiglia;per tal motivo solitamente è conservato con
estrema cura, è maneggiato con particolare riguardo, è mostrato con estremo
orgoglio. In qualità di amici siamo spesso “costretti” a guardarlo, ma lo
sfogliamo con noncuranza malcelata perché in fondo sembrano tutti uguali. Siamo
disattenti perché ogni immagine è prevedibile, persino ovvia. L’album d’altronde
è espressione del lato pubblico dell'evento, quanto gli altri potranno vedere
in seguito: la patina, l'esteriorità, la facciata, l’apparenza. L’essenza
rimane nascosta e difficilmente emerge. Affinché questo accada bisogna avere la
fortuna che al rito partecipi un fotografo affetto da mania: quella divina follia che proviene
dalle Muse e consente di interpretare la lingua sacra. Qualcuno come Franco
Carlisi, insomma: un intermediarioin grado non soltantodi farsi portavoce dei
significati reconditi e delle emozioni intime, ma anche di riformulareil
pensiero privato in un discorso collettivo.Chi
sfogliaIl valzer di un giorno, chi ne osserva le
fotografie, chi si immerge nelle esistenze narrate attraverso le immaginiscopre
la Sicilia, le sue tradizioni, i suoi modi, le sue usanze, i suoi volti ma
avverte anche e soprattutto la radicalità del rito matrimoniale.Qui nessuna
immagine è prevedibile o scontata, ognuna lascia aperto uno spazio di
riflessione e ferisce alla maniera di
Barthes. Persino Andrea Camilleri non può che riconoscerlo: «Le immagini di
Carlisi non mostrano mai il rituale ufficiale e patinato di ogni matrimonio, il
prete che benedice, lo scambio degli anelli, il gruppo di testimoni, no,
fortunatamente niente di tutto questo».
Il valzer che ci accompagna è un dolce oscillare dello sguardo
dentro il tempo dell’evento: un presentepronto a essere consegnato ai
discendenti, mapartorito da unprima,
di cui ogni immagine sembra volerci in segreto riferire, e apertoa unpoi, ignoto e per questo forse anche
temuto. Così d’un tratto la musica ha inizio, i volti parlano e le cose fanno
rumore, i silenzi irrompono e il vocio emerge, la natura partecipa e gli
edifici cantano, i bambini giocano e i morti raccontano,i vecchi guardano e i
giovani sperano.E poi ci sono le mani: mani piccine, mani adulte, mani anziane,
mani giovani, mani che sistemano, che stringono, che sfiorano, che pregano, che
danzano, che cercano, che incontrano, che brindano, che dicono, che piangono,
che amano.Ogni fotografia di Franco Carlisi s’incammina per i rivoli di questo fiume temporale
di andirivieni che è il giorno del matrimonio, donandoci l’interezza della sua
complessità. Un’aria di sincerità e di autenticitàaccompagna la lettura, aiutata
dagli indizi che l’autore ha disseminato ovunque. Il bianco e nero, il mosso,
lo sfumato divengono modi per sollecitare lo sguardo a guardare in direzione
del vero e a smuovere dalla fissità ciò che è all’apparenza immobile; invitano
ad andare oltre per vedere dentro. Dentro la Sicilia, dentro l’animo umano.
Giusy
Randazzo
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